Giuseppina Giuliano: il pendolarismo non è una scelta

giuseppina giulianoDopo quello di Matteo Messina Denaro, il nome di Giuseppina Giuliano è, forse, il più cliccato della settimana. La sua storia, rimbalzata ovunque tra giornali e social, ha scatenato l’ira di pochi e l’ironia di molti. Eppure, che sia vera o falsa, come sospettano in tanti, è certamente un’occasione persa per parlare di un tema di cui non si discute mai abbastanza. Ma facciamo un brevissimo passo indietro.

Giuseppina ha ventinove anni e dallo scorso settembre lavora come operatrice scolastica al Liceo Boccioni di Milano. Il suo stipendio si aggira intorno ai 1165 euro al mese ma – racconta la giovane – non le permette di trovare casa nel capoluogo lombardo così, a conti fatti, ogni giorno un treno da Napoli la porta all’ombra della Madonnina e viceversa. La sveglia suona alle 4, il convoglio da Piazza Garibaldi parte alle 5:09, l’ingresso a scuola è alle 10:30. Poi il percorso inverso: treno alle 18:20, arrivo a Napoli alle 22:53, a casa alle 23:30. Una storia di pendolarismo, dunque, e anche di tanto, tantissimo sacrificio. Ma, forse, non è la parola più adatta.

A non credere a Giuseppina sono in molti: tra chi sostiene che le spese non tornano perché l’andirivieni comporta cifre non così dissimili da un fitto e chi, invece, propone soluzioni abitative nell’hinterland milanese, il tema al centro di questa storia sembra sfumare nel pruriginoso vizio social di scandagliare le vite altrui per distruggerle. Se anche la giovane stesse mentendo – e non sarà questo il tribunale che la assolve o condanna – c’è, infatti, una questione che non si può ignorare e riguarda il sistema lavoro in Italia. Anche a scuola.

È, infatti, il tema del carovita che cozza, fortemente, con l’inadeguatezza degli stipendi e che costringe, fin troppi, ogni giorno a distanze incredibili pur di lavorare. La quotidianità si consuma su treni a lunga percorrenza, alla ricerca di uno sconto, di un tempo in cui riposare tra un viaggio e l’altro, di una socialità inesistente e la famiglia, quando se ne ha una, messa tra parentesi. Per questo, forse, quella di Giuseppina e di quanti rappresenta non è una storia di sacrificio, ma di non diritto, di schiavitù moderna, una vergogna tutta italiana.

È il nostro, infatti, l’unico Paese in Europa in cui gli stipendi diminuiscono anziché aumentare, dove da anni le retribuzioni degli insegnanti e di tutto il personale scolastico italiano sono tra le più basse in UE, dove, se lavori nel comparto istruzione, sei un fortunato perché hai tre mesi di ferie l’anno. Le differenze di stipendio interessano tutti gli ordini e gradi scolastici sin dagli inizi della carriera, variando dai 5mila agli 80mila euro lordi, a seconda dello standard di vita misurato in termini di prodotto interno lordo pro capite: più alto è questo dato, maggiore è lo stipendio medio annuo. A denunciarlo, soltanto pochi mesi fa, è stato l’ultimo rapporto OCSE sullo stato dell’istruzione nel mondo. E se, nello specifico, si approfondiva la condizione dei docenti e lo scarso riconoscimento economico e sociale della categoria, non si può non dire che al resto del personale della scuola vada meglio.

Lo stipendio medio, in questo caso, si attesta intorno ai 1000 euro e poco più. Vien da sé che il pendolarismo non è una scelta, è la più naturale conseguenza dell’impoverimento del ceto medio-basso che costringe a numerose rinunce e a sacrifici inammissibili in uno Stato che all’articolo 36 della Costituzione recita che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. O, ancora prima, all’articolo 3, che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Ma quante testimonianze abbiamo in tal senso? Quanti uomini e donne ogni giorno fanno su e giù lungo lo Stivale pur di sopravvivere? A quante rinunce sono costretti perché non hanno possibilità di scelta? È incredibile come ci si sia concentrati sul tentativo di sbugiardare la vicenda della giovane napoletana, anziché denunciare che ogni mattina decine, centinaia, migliaia di lavoratori vivono da pendolari mentre il pendolarismo, in Italia, non è minimamente supportato. Milano, Roma e tantissime altre città non sono a misura di lavoratore, ma solo di ricchi e turisti, eppure il problema – per tutti – è Giuseppina che racconta una storia forse esagerata ma non così dissimile da molte verità. È successo, persino, all’interno della scuola stessa, a dimostrazione che a mancare è la coscienza di classe, è la capacità di farsi coro anziché voci stonate.

È questo il risultato, ben riuscito, di una politica che negli anni ha smantellato sempre di più il settore, trasformandolo in azienda, in gestione quasi privatistica, dove tutti sono contro tutti pur di salvaguardare in qualche modo la propria pagnotta. È la scuola del merito di Valditara, che differenzia, classificandola, la popolazione scolastica e l’idea che sia il lavoratore-schiavo quello da umiliare, non l’intero sistema da combattere. È il fallimento dei sindacati. Eppure, qualcosa si può ancora cambiare.

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