Disabilità e sostegno: a quando la continuità didattica?
C’è un tema che si rincorre ogni anno, con l’arrivo di settembre. È quello dell’inclusione, uno degli obiettivi formativi più importanti, almeno su carta, volto all’abbattimento delle barriere tra uno studente affetto da disabilità fisica e/o cognitiva o uno studente proveniente da un diverso background culturale e chi, invece, è in linea con le competenze cognitive, linguistiche e comportamentali stabilite dal programma ministeriale. È il tema che anche stavolta sta allarmando famiglie e associazioni.
È di queste ore la lettera indirizzata al Ministro Giuseppe Valditara da parte di Andrea Laurenzi, presidente dell’Associazione Autismo Arezzo e referente del Coordinamento Toscano Associazioni per l’Autismo, che denuncia l’annoso problema della continuità didattico-educativa per gli studenti disabili non solo in termini di istruzione adeguata ma, anche, di importanza del ruolo degli insegnanti di sostegno. Una denuncia che si fa sempre più urgente.
Figura fondamentale per la sua funzione di ponte tra lo studente e la classe, sempre di più questa tipologia di insegnante si ritrova a fare i conti con assegnazioni improbabili e trasferimenti che condizionano, e non poco, la possibilità di svolgere al meglio il proprio compito di collante ed educatore. Basti pensare che circa il 59% degli studenti con disabilità ha cambiato insegnante di sostegno nell’ultimo anno. Ciò significa che oltre 171mila studenti non hanno goduto della continuità didattica.
A tal proposito, Andrea Laurenzi ha raccontato la propria esperienza di genitore di una ragazza autistica, oggi diciassettenne, che ha cambiato diciassette insegnanti di sostegno in quattordici anni di scuola e un numero imprecisato di operatori sostituti. Come ha dichiarato sulle pagine del Corriere: «Fino alla fine delle medie abbiamo avuto, ogni anno, sempre un’insegnante di sostegno diversa. Ma quasi sempre, a causa dei costanti ritardi nelle nomine, arrivava a novembre inoltrato. E già sono mesi persi. Poi, la copertura delle ore non è mai totale, così a spese in parte del Comune, in parte di tasca nostra, abbiamo fatto ricorso ad operatori di cooperative esterne, sempre diversi. E in tutto questo, siccome la bambina non può stare senza sostegno, un giorno non la mandi a scuola per spalmare le ore negli altri giorni, una volta la vai a prendere un’ora prima… Sempre così». Alle superiori, nel liceo artistico frequentato dalla ragazzina, che ora si avvia a iniziare il terzo anno, ci sono tre insegnanti di sostegno che la prendono in carico a rotazione — il secondo anno due delle tre sono cambiate —, più una miriade di operatori tappabuchi.
Ma che cosa significa tutto questo per chi è affetto da autismo? «La continuità didattica è importante per qualunque bambino, per chi ha bisogno di sostegno ancora di più, di fronte all’autismo diventa fondamentale — spiega Andrea — Pensiamo a quando mia figlia era alla materna, ancora non parlava, non poteva neppure dire quando aveva bisogno di andare in bagno. E ogni volta, di fronte a una nuova insegnante, noi dovevamo spiegare tutto» continua l’intervista. E che diritto è quello di una bambina che non ha accesso all’attenzione, alle cure e allo studio che merita?
Mentre in passato le forme assistenziali che un istituto scolastico doveva obbligatoriamente attuare con insegnanti di sostegno e/o figure di educatori erano rivolte soltanto verso le disabilità accertate e coperte dalla legge 104/1992, oggi rientrano nei BES (Bisogni Educativi Speciali) anche gli studenti con ritardi lievi, gli studenti con DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), ma anche coloro che manifestano altri disturbi evolutivi che non rientrano né in una disabilità accertata né in DSA o gli studenti con uno svantaggio socioeconomico.
Disabilità che necessitano, per ovvi motivi, di docenti di sostegno che possano aiutare i ragazzi ad affrontare le sfide del quotidiano tra le aule scolastiche. Non a caso, con il crescere degli alunni con difficoltà, è aumentato anche il numero di questa categoria di insegnanti che è passata dall’8.6% nell’a.s. 2001/2002 al 20.3% nell’a.s. 2020/2021, per un totale di 907.929 unità. Di questi 184.405 sono docenti per il sostegno e 723.524 docenti su posto comune.
Per grado di istruzione i docenti sono così distribuiti: nella scuola dell’infanzia il numero complessivo dei docenti è pari a 101.710, di cui 18.567 sono docenti per il sostegno e 83.143 docenti su posto comune. Per la scuola primaria il numero complessivo dei docenti si attesta a 292.356 unità, di cui circa 69.969 sono docenti per il sostegno e 222.387 docenti su posto comune; nella scuola secondaria di I grado il totale docenti risulta pari a 202.379, nello specifico i docenti per il sostegno sono 46.266 e i docenti su posto comune 156.113. Infine, per la scuola secondaria di II grado il numero complessivo dei docenti si attesta a 311.484, il contingente di sostegno a 49.603 e i docenti su posto comune a 261.881.
Inoltre, tra i docenti di sostegno, solo 80.672 hanno un contratto a tempo indeterminato, tutti gli altri (103.733 docenti) hanno un contratto a tempo determinato. Un dato che segna una decrescita rispetto a vent’anni fa, quando la percentuale di insegnanti a tempo indeterminato sul totale dei docenti per il sostegno era pari al 60.8%, contro il 43.7% di adesso.
Un altro anno, dunque, inizia con i soliti nodi da sciogliere. Assicurare ai più fragili la presenza sufficiente di insegnanti di sostegno, di strutture atte a ospitare ogni tipo di disabilità e il superamento di ghettizzazioni che ancora riguardano il diverso non può non essere la priorità. Garantire il diritto allo studio significa garantire il diritto alla libertà.
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