Se la scuola è un’azienda, persino la morte in ASL fa meno rumore

aslSe la scuola è ormai un’azienda, quanto è accaduto nel pomeriggio di venerdì 21 gennaio a Lauzacco di Pavia, in provincia di Udine, suona come una sinistra beffa del destino. Lorenzo Parelli, diciotto anni compiuti a fine novembre, ha perso la vita nel suo ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro, schiacciato – come un operaio qualsiasi di un qualsiasi cantiere di Italia – da una putrella di acciaio alla Burimec, società che realizza bilance stradali.

Lorenzo frequentava il Centro di Formazione Professionale dell’Istituto Superiore Bearzi di Udine e venerdì avrebbe concluso la sua esperienza fuori dalle mura scolastiche. Invece, l’ultimo giorno di ASL si è rivelato, anche, l’ultimo della sua vita. L’ultimo giorno di una vita ancora tutta da vivere.

Quella del diciottenne friulano è l’ennesima tragedia consumatasi in fabbrica. Soltanto nel 2021, sono stati 1404 i morti sul lavoro e il 2022 – appena al suo primo mese – ne conta già almeno quattro. Questo perché, sebbene si alternino governi, ministri, buoni propositi, nessuna misura di controllo e sicurezza viene effettivamente attuata in azienda e, ancor meno, nei cantieri: il profitto è il solo obiettivo, anche a discapito dell’incolumità dei lavoratori.

Tagli, schiavismo e caporalato sono solo alcuni dei motivi per i quali l’Italia è ormai il Paese del precariato, e non soltanto dal punto di vista contrattuale. La certezza di nessun controllo, così come la certezza della non pena, poi, fanno il resto, con i datori di lavoro, più comunemente percepiti quali padroni, che poco o nulla si concentrano sul rispetto delle norme. Un giorno di servizio, quindi, può trasformarsi, spesso, nel più fatale di una vita fatta di sacrifici e soprusi, di diritti negati, di un piatto in tavola da assicurare ai figli a qualsiasi costo, fosse anche il proprio sangue. E questo il capitalismo lo sa.

È nella stessa ottica, dunque, che purtroppo va interpretata la scomparsa di Lorenzo, vittima della forma ibrida che negli ultimi anni ha assunto la scuola, della sua gestione sempre più aziendale e meno istituzionale che vede gli studenti al pari di lavoratori sprovvisti di diritti e oberati di un ruolo che non compete loro. Può suonare una provocazione, ma non lo è.

L’alternanza scuola-lavoro tanto cara al PD, nucleo centrale della riforma denominata Buona Scuola – che di buono non ha nulla – è stata introdotta da Matteo Renzi e colleghi al fine di rimediare alla totale assenza di connessione tra il mondo dell’istruzione e quello dell’impiego. Tuttavia, da sempre avversato dalla maggioranza del corpo docenti mai interpellato né minimamente ascoltato in fase di stesura della legge, il provvedimento si è trasformato ben presto in un’occasione per depennare dal diario scolastico ore destinate all’apprendimento di materie di ben più seria utilità e per alcune aziende di munirsi di manovalanza gratuita.

Negli anni, infatti, sono stati tanti i casi di giovani impegnati negli autogrill o presso gli uffici comunali a portare caffè e fare fotocopie. E non sono pochi coloro che hanno raccontato di vere e proprie condizioni di lavoro non tollerabili da un sistema che, invece, dovrebbe garantire l’insegnamento di materie coerenti con il percorso di studio intrapreso e propedeutiche al corretto inserimento nel mondo post-scolastico. L’ASL o PCTO – la sigla che ha sostituito la vecchia formula, ma solo nel nome –, insomma, non rappresenta una metodologia didattica formativa, piuttosto una manodopera regalata dallo Stato a quei tanti privati o meno che non intendono retribuire il personale di cui necessitano.

Così, nonostante si parli tanto del problema dell’abbandono scolastico a fronte di un lavoretto che permette ai ragazzi di guadagnare quelle poche centinaia di euro con le quali camparsi, nonostante molti genitori combattano per far capire che quelle strade sono senza futuro, che nessun cellulare garantirà mai la felicità della propria affermazione, lo Stato propone un modello vergognoso di avvicinamento al lavoro e tutti gli sforzi sono resi vani. Non solo il ragazzo si ritrova a svolgere mansioni che nulla c’entrano con il piano di studi ma, per di più, non impara nessuna nozione utile e, anzi, subisce l’umiliazione di un incarico per il quale la matematica o la letteratura non servono. Ecco che, allora, viene meno qualsivoglia valore educativo e professionalizzante dell’esperienza oltre i banchi.

Il numero di ore complessive di PCTO che ogni studente deve svolgere nei tre anni finali di scuola superiore varia a seconda del tipo di percorso scolastico frequentato: non inferiore a 210 ore negli istituti professionali, a 150 negli istituti tecnici e a 90 nei licei. Ore ridottesi del 30% negli ultimi due anni a causa del Covid o trasformatesi in attività online, che rendono ancora più inutile il sacrificio della didattica in presenza più tradizionale e finiscono con il non esaltare la valenza formativa dell’orientamento in itinere e svolgere un processo di formazione integrale della persona e del sé, come recita la definizione della scuola in alternanza. In alternanza, come la morte di Lorenzo, un po’ in classe, un po’ in azienda.

La sua scomparsa rappresenta un triplice monito: del lavoro non retribuito, degli scarsi livelli di sicurezza dei luoghi di lavoro e dello svilimento della scuola. Per questo, al contrario di quanto afferma Massimiliano Fedriga, Presidente del Friuli Venezia Giulia – «in questo momento però l’incommensurabile dolore sofferto dalla famiglia impone a tutti un rispettoso silenzio» – non bisogna tacere, perché le morti invano non fanno gli eroi, fanno soltanto giogo a un sistema criminale che genera schiavismo. E lo schiavismo di aziende senza scrupoli non può e non deve essere tollerato. La manodopera a costo zero, per di più a discapito di lezioni destinate a un apprendimento fondamentale per il domani dei ragazzi, deve essere condannata e stroncata attraverso ogni mezzo. Urlata perché si è stanchi di perdere la voce.

Li chiamano incidenti sul lavoro e, invece, sono dei veri e propri omicidi. Di Stato e, in questo caso, anche di scuola.

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