Merito, umiliazione, lavori socialmente utili: Valditara show

giuseppe valditaraDi Ministri peculiari in Viale Trastevere se ne sono visti spesso. Eppure, come Giuseppe Valditara, nuovo titolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito, se ne ricordano pochi. Sarà che in appena un mese di lavoro l’ex docente ordinario di diritto romano ha rubato spesso la scena a tutti i suoi colleghi di governo, talvolta persino al Premier Giorgia Meloni, arrivando a far parlare di sé non per l’operato – fin qui nulla di strano, la permanenza a Palazzo è ancora troppo recente – ma per affermazioni inedite decisamente inappropriate.

Questa settimana, in particolare, il Ministro ha rilasciato una serie di dichiarazioni piuttosto commentate in giro che delineano la sua idea di scuola e di società che, se non sorprendono, lasciano quantomeno interdetti. Partiamo dal suo virgolettato più preoccupante: «Evviva l’umiliazione, che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità». Un termine, umiliazione, che Valditara ha poi definito inadeguato, ma solo perché ha fatto tanto rumore.

La frase è stata pronunciata il 21 novembre in occasione di un evento pubblico chiamato Italia, direzione nord e promosso dall’associazione Amici delle Stelline e dall’istituto di ricerca Osservatorio Metropolitano di Milano. Un evento durante il quale Valditara ha parlato anche degli episodi di violenza che avvengono in classe e delle soluzioni da lui paventate, sostenendo – tra le varie – l’introduzione dei lavori socialmente utili quale metodo educativo basato, appunto, sull’umiliazione.

Citando un episodio di bullismo avvenuto in un istituto tecnico di Gallarate (Varese) ha dichiarato: «Se ci si limita a sospendere per un anno, il rischio è che quel ragazzo vada poi a fare fuori dalla scuola altri atti di teppismo, o magari addirittura si dia allo spaccio o magari si dia alla microcriminalità. Quel ragazzo deve essere seguito, quel ragazzo deve imparare che cosa significa la responsabilità, il senso del dovere. Noi dobbiamo ripristinare non soltanto la scuola dei diritti, ma anche la scuola dei doveri. Quel ragazzo deve fare i lavori socialmente utili, perché soltanto lavorando per la collettività, per la comunità scolastica, umiliandosi anche – evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità. Di fronte ai suoi compagni è lui, lì, che si prende la responsabilità dei propri atti e fa lavori per la collettività. Da lì nasce il riscatto. Da lì nasce la maturazione. Da lì nasce la responsabilizzazione».

Per il Ministro, infatti, «la stigmatizzazione pubblica è essenziale nella repressione delle devianze e nel controllo sociale». È questa, forse, la sua idea di merito, quella che ha tanto voluto nel nome del dicastero in Viale Trastevere. È questo, forse, il ruolo della scuola che immagina nella formazione di un ragazzo: l’umiliazione. Di chi sbaglia, di chi non segue le regole, di chi talvolta non ha nemmeno gli strumenti per discernere ciò che è giusto da cosa non lo è, magari perché nato e cresciuto in un contesto familiare che non lo ha educato a farlo. Ecco che, allora, tornano il tema della repressione e quello delle devianze: un modello diseducativo che rimanda alle bacchettate sulle mani di un tempo, le ginocchia su un rigido pavimento di uno dei nostri fatiscenti istituti in punizione dietro la lavagna.

L’umiliazione – il Ministro, per essere tale, dovrebbe saperlo – non ha alcuna valenza pedagogica, non ha niente a che fare con l’educazione in generale e, ancora meno, con la scuola che deve guidare alla crescita e alla formazione dell’individuo per diventare un adulto responsabile e onesto. Tutto quello che, insomma, non succede schiacciando qualcuno, ridicolizzandolo, privandolo della sua natura umana e più sensibile.

In realtà, di lavori socialmente utili Giuseppe Valditara aveva parlato anche in altre occasioni, proponendoli come «soluzione per contrastare gli episodi di violenza in classe per gli studenti sospesi un anno». Molti docenti, però, gli avevano ricordato che a chi compie atti di bullismo in alcuni istituti già si affidano alcuni lavoretti, mentre altri – la maggior parte – avevano bocciato la proposta perché non è la scuola a dover proporre pene alternative, quanto – se necessario – altri organi di competenze. Per il Ministro, invece, potare avanti queste intenzioni, è un modo per ridare «autorevolezza ai docenti» e costruire «rispetto verso i docenti, gli studenti e i beni pubblici».

Così, anche qualche giorno prima della manifestazione milanese, Valditara aveva dichiarato che «l’educazione al lavoro deve essere appresa sin dalle elementari». Un’affermazione che sembra distante dal discorso suddetto ma che, invece, rientra nello stesso progetto di rinnovamento dell’istituzione scolastica, svuotandola di senso. Che cosa intende il Ministro se non terminare il processo, già avviato, di scuola come azienda, di lavoro come privazione di diritti, di cancellazione dell’individualità a favore di un modello meccanico e imprenditoriale? Un’idea «arcaica e paternalistica» dice il segretario del sindacato degli insegnanti CGIL, Francesco Sinopoli, ma molto apprezzata dai suoi compagni di maggioranza.

Un’idea pericolosa anche nell’ottica di riscrittura della storia che, sin dal suo insediamento, il Ministro sta portando avanti settimana dopo settimana, con le lettere inviate agli studenti. Prima la caduta del Muro di Berlino e il suo giudizio sul comunismo, poi le leggi razziali e il sostegno a Israele, in risposta alla violenza esercitata ai danni della Palestina. Infine, la proposta di togliere il Reddito di cittadinanza a chi ha tra 18 e 29 anni ma «ha interrotto illegalmente gli studi prima dei 16 anni o ha un diploma ma non lavora e non è in formazione».

«Questi ragazzi preferiscono percepire il Reddito anziché studiare e formarsi per costruire un proprio dignitoso progetto di vita», ha detto intervenendo nel corso dell’assemblea ANCI. Per lui, infatti, «il reddito è collegato all’illegalità tollerata del mancato assolvimento dell’obbligo scolastico», una frase decisamente inappropriata nel Paese della dispersione scolastica, già ampiamente diffusa prima dell’istituzione del Reddito di cittadinanza. Una misura di contrasto alla povertà e di certo non a favore dell’ignoranza.

Come già scrivevamo in occasione della Giornata della libertà, quelle di Valditara si dimostrano, giorno dopo giorno, precise dichiarazioni di intenti, che non generano dibattito o riflessione, ma intendono imporre una visione di mondo distorta, pericolosa e troppo politica a danno dei più giovani, strumentalizzati nella ricerca di un consenso che nulla ha a che fare con la scuola e l’educazione civica e sociale.

Ci si chiede, a un mese dal suo insediamento, cosa voglia fare Giuseppe Valditara nei prossimi anni, cosa voglia fare per affermare il diritto allo studio, per ripristinare l’edilizia scolastica, per rispondere alle criticità della modernità. Quando smetterà di scambiare il merito con il privilegio. Quando rappresenterà la scuola, i docenti, i ragazzi e i loro diritti, piuttosto che gli ideali di partiti che in classe non devono entrare.

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