Contratto scuola: tanto rumore per pochi spicci

contratto OCSETanto rumore per pochi spicci: potrebbe riassumersi così quella che il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara definisce giornata storica (in realtà una due giorni) fatta di firme valide soltanto per qualche titolo sui giornali e una vuota stretta di mano. Proprio in queste ore, i sindacati invitati ai tavoli e l’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) stanno chiudendo la trattativa per il rinnovo del contratto del personale scolastico, dopo una battaglia durata troppo per concludersi – come immaginabile – in un nulla di fatto.

La vittoria tanto decantata consiste in aumenti di circa 100 euro medi lordi più gli arretrati del CCNL 2019-2021 – per una media di 2000 euro – da elargire entro Natale, in aggiunta allo stipendio e alla tredicesima già previsti. L’accordo è arrivato giovedì 10, dopo più di sette ore di confronto in Viale Trastevere e una disponibilità finanziaria pari a 100 milioni di euro, deliberata nel Consiglio dei Ministri, da destinare alla componente fissa della retribuzione accessoria per l’anno 2022, nella misura di 85.8 milioni per i docenti e 14.2 milioni per il personale ATA.

L’intesa è raggiunta, dunque, sul fronte economico per liquidare entro dicembre gli arretrati maturati nel corso del triennio di vigenza contrattuale e una piccola fetta di paga aggiuntiva. Tra i beneficiari del rinnovo, ovviamente, rientrano anche coloro che nel frattempo sono andati in pensione, ma che negli anni in questione hanno prestato servizio. Resta, tuttavia, l’impegno a reperire ulteriori risorse, già nella manovra di Bilancio 2023, da destinare alla retribuzione tabellare (stipendio base) del personale scolastico da chiudere con almeno 124 euro di aumento medio.

L’accordo ha registrato molta soddisfazione tra le diverse parti in causa, in particolare tra i sindacati e il governo: L’accordo, atteso da tempo, comporta un impegno finanziario importante, che corrisponde alla volontà del governo di effettuare un forte investimento nella formazione e nell’istruzione dei giovani, essenziale per un paese avanzato che voglia competere tra le moderne economie della conoscenza. È un risultato importante frutto dello spirito di collaborazione avviato dal governo con le parti sociali e che ci auguriamo possa raggiungere in futuro ulteriori importanti obiettivi, recita una nota di Palazzo Chigi.

L’incontro di oggi tra sindacati e ministro segna una svolta decisiva nel confronto fra le parti per il rinnovo del contratto del comparto Istruzione e Ricerca, rispondono le sigle sindacali coinvolte.

Decisamente contento il titolare del dicastero Valditara: «Oggi è una giornata storica caratterizzata anzitutto da un nuovo modo di intendere il rapporto tra il governo e le parti sociali, impostato sul confronto costruttivo e sulla risoluzione pragmatica dei problemi. Questo sarà sempre l’approccio che porterò avanti con chi rappresenta i lavoratori del comparto scuola. Diamo così un primo segnale concreto sul tema delle retribuzioni, fondamentale per rivalorizzare e restituire autorevolezza alla figura del docente. Siamo consapevoli che si tratta di un primo passo, un primo passo atteso da tanto tempo e ottenuto in un contesto peraltro difficile a causa della crisi energetica: abbiamo voluto dare subito un chiaro segnale politico di svolta rispetto al passato. Quando ho annunciato una Grande Alleanza per la Scuola e per il Merito non intendevo fare della retorica, ma indicare la strada che oggi iniziamo a percorrere con questo accordo: una grande collaborazione tra istituzioni, parti sociali, docenti, studenti, famiglie, ognuno nel suo ruolo, per prenderci cura di quella straordinaria comunità che è la scuola italiana».

Eppure, a non pensarla come lui sono proprio loro, gli insegnanti, ancora una volta presi in giro da tanta propaganda. Come sappiamo, il contratto era scaduto da oltre tre anni. Già nel marzo 2018 le sigle sindacali avevano firmato un aumento – se così lo si vuol chiamare – pari a 85 euro lordi mensili, dopo quasi un decennio di stasi contrattuale. Un incremento che non era stato apprezzato dai docenti che, come dimostrano i dati, in dodici anni hanno perso il 16% circa di potere di acquisto, una riduzione che ha modificato (e tanto) l’appeal dello status di lavoratore della scuola.

A novembre 2021, quindi, era partita una petizione online finalizzata a un adeguamento di stipendio di almeno 200 euro netti mensili a invarianza degli oneri contrattuali seguita da una movimentazione di piazza fissata a dicembre. Per l’occasione, tuttavia, non c’era stata grande risposta, con appena il 6% del personale scolastico partecipante, vale a dire meno di 90mila lavoratori su 1 milione 400mila dipendenti dell’istruzione, tra docenti e personale ATA. Una percentuale sin troppo bassa per avanzare delle pretese compatte e far ascoltare la propria voce a piani alti già normalmente disinteressati al dialogo. Ben diverso era stato, in cambio, lo sciopero del 30 maggio scorso, quando in piazza era sceso il 17.53% del personale scolastico a dichiarare il proprio no al Decreto 36, la cosiddetta Riforma Bianchi.

Lunghi mesi di battaglie che, nei fatti, non hanno portato molto oltre quanto già si era paventato in passato. Se la vera conquista restano gli arretrati, infatti, non può dirsi lo stesso per quello che vogliono venderci come aumento: cosa sono 100 euro lordi se non una piccola, infinitesimale, mancia per mettere a tacere quello che è un settore che da sempre fa gola alla politica? Il comparto scuola, si sa, è un bacino elettorale importante che ha spesso decretato la fine di un leader piuttosto che di un altro. Pensiamo – per restare in anni più recenti – a Matteo Renzi, artefice di una riforma di cui ancora oggi si paga lo scotto e che nessuno dei suoi successori, nonostante le enormi avversità che il personale docente ha ribadito, ha pensato bene di cancellare.

Non è un caso che i voti della scuola, un tempo ad appannaggio totale del centrosinistra e del Partito Democratico, siano passati tutti – o quasi – al partito guidato da Giorgia Meloni, il più votato dagli insegnanti in occasione dell’ultima tornata elettorale. E non è un caso che tra i primi provvedimenti governativi ci sia stato proprio questo (finto) rinnovo contrattuale, che nei fatti va a intervenire su un qualcosa che è già passato, già scaduto, già superato.

Una manovra ancora una volta politica, con le opposizioni che sono già corse a rivendicarne la paternità, sostenendo (come fosse un vanto) che l’intesa sia arrivata grazie alle risorse stanziate dal precedente esecutivo, quello di Mario Draghi.

La prossima settimana proseguiranno, senza soluzione di continuità, le trattative sulle parte normativa del contratto con tutti i diversi settori del comparto. Intanto, con non poca amarezza, non ci tocca che registrare il solito, tanto, rumore per pochi spicci.

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