Giornata della libertà: in memoria del Muro, Valditara politicizza la scuola

Ricordate Maria Rosa Dell’Aria? Forse, così, su due piedi, il suo nome non vi dirà molto. Eppure, senza volerlo, per giorni è stata al centro del dibattito pubblico e politico italiano. Ma facciamo un passo indietro.

È il maggio del 2019, quando l’insegnante di Lettere presso l’Istituto Industriale Vittorio Emanuele III di Palermo viene sospesa per quindici giorni a causa di un video prodotto da alcuni studenti in occasione della Giornata della Memoria nel quale l’immagine delle leggi razziali introdotte da Mussolini nel 1938 viene accostata a una foto scattata durante la conferenza stampa di presentazione del Decreto Sicurezza del Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Un provvedimento – definito poi illegittimo – che scatena l’ira di famiglie e docenti che vedono così violato l’articolo 21 della Costituzione: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. All’articolo 33, invece, leggiamo: L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento, di cui la Repubblica detta le norme generali.

A questi ragazzi è stato, forse, impedito di manifestare il proprio pensiero? Per caso, sono state violate le norme generali dell’istruzione sulla tutela fisica dei suddetti discenti o è stato impedito loro di avere libero accesso all’uguaglianza delle opportunità da garantire allo studio e alla libera conoscenza che ne deriva? Nessuna delle due. E allora? Perché un’insegnante che agisce nel pieno rispetto dei dettami costituzionali viene sottoposta a provvedimenti di sospensione dal proprio lavoro, in perfetto stile repubblichino, più che repubblicano? L’opinione pubblica si divide, la politica si appropria del dibattito, la docente viene perseguitata. Ma perché ne riparliamo oggi, a distanza di quasi tre anni?

È il 9 novembre, una data simbolo che l’Italia commemora come Giorno della libertà quale ricorrenza dell’abbattimento del Muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo. Per l’occasione, il nuovo Ministro dell’Istruzione sceglie di scrivere una lettera agli studenti, anche qui l’opinione pubblica si divide.

Care ragazze e cari ragazzi,

la sera del 9 novembre del 1989 decine di migliaia di abitanti di Berlino Est attraversano i valichi del Muro e si riversano nella parte occidentale della città: è l’evento simbolo del collasso del blocco sovietico, della fine della Guerra Fredda e della riunificazione della Germania e dell’Europa. La caduta del Muro, se pure non segna la fine del comunismo – al quale continua a richiamarsi ancora oggi, fra gli altri paesi, la Repubblica Popolare Cinese –, ne dimostra tuttavia l’esito drammaticamente fallimentare e ne determina l’espulsione dal Vecchio Continente.

Il comunismo è stato uno dei grandi protagonisti del ventesimo secolo, nei diversi tempi e luoghi ha assunto forme anche profondamente differenti, e minimizzarne o banalizzarne l’immenso impatto storico sarebbe un grave errore intellettuale. Nasce come una grande utopia: il sogno di una rivoluzione radicale che sradichi l’umanità dai suoi limiti storici e la proietti verso un futuro di uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette. Che la proietti, insomma, verso il paradiso in terra. Ma là dove prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande: la sua realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte. Perché infatti l’utopia si realizzi occorre che un potere assoluto sia esercitato senza alcuna pietà, e che tutto – umanità, giustizia, libertà, verità – sia subordinato all’obiettivo rivoluzionario. Prendono così forma regimi tirannici spietati, capaci di raggiungere vette di violenza e brutalità fra le più alte che il genere umano sia riuscito a toccare. La via verso il paradiso in terra si lastrica di milioni di cadaveri. E si rivela drammaticamente vera l’intuizione che Blaise Pascal aveva avuto due secoli e mezzo prima della rivoluzione russa: «L’uomo non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che chi vuol fare l’angelo fa la bestia».

Gli storici hanno molto studiato il comunismo e continueranno a studiarlo, cercando di restituire con sempre maggiore precisione tutta la straordinaria complessità delle sue vicende. Ma da un punto di vista civile e culturale il 9 novembre resterà una ricorrenza di primaria importanza per l’Europa: il momento in cui finisce un tragico equivoco nel cui nome, per decenni, il continente è stato diviso e la sua metà orientale soffocata dal dispotismo. Questa consapevolezza è ancora più attuale oggi, di fronte al risorgere di aggressive nostalgie dell’impero sovietico e alle nuove minacce per la pace in Europa.

Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell’utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia. Un ordine politico e sociale imperfetto, pieno com’è di contraddizioni, bisognoso ogni giorno di essere reinventato e ricostruito. E tuttavia, l’unico ordine politico e sociale che possa dare ragionevoli garanzie che umanità, giustizia, libertà, verità non siano mai subordinate ad alcun altro scopo, sia esso nobile o ignobile.

Per tutto questo il Parlamento italiano ha istituito il 9 novembre la “Giornata della libertà”. Su tutto questo io vi invito a riflettere e a discutere.

Al di là di come la si possa pensare sul tema – e non sarà di certo questa la sede per discuterne – i due episodi, quello inerente la professoressa Dell’Aria e il più recente intervento del Ministro Valditara, sembrano  richiamarsi e scontrarsi, in qualche modo annullarsi a vicenda. Perché, infatti, dinanzi a un lavoro di analisi storico-politica svolto da alcuni liceali si è accusata l’insegnante e lo stesso non si fa per il titolare del dicastero di Viale Trastevere per la sua – questa sì – inopportuna ingerenza?

Se pensiamo ai programmi di storia, il Novecento – erroneamente definito secolo breve – vede una scarsa attenzione tra i banchi di scuola. Questo perché la mole di lavoro dell’ultimo anno, per restare tra i più grandi, richiede un tempo decisamente sproporzionato rispetto a quello che docenti e ragazzi hanno effettivamente a disposizione. Così, al termine della Seconda guerra mondiale, il programma procede veloce (troppo), senza alcun approfondimento, in particolare di quella che è stata la Guerra Fredda e le sue conseguenze. In quest’ottica, quindi, come va letta la lettera del Ministro Valditara? Non è la sua una presa di posizione netta e persino semplicistica di un periodo storico che nelle stesse scuole quasi non si affronta? In quale contesto va a inserirsi quell’invito a riflettere e discutere che, già in partenza, sa che cadrà nel vuoto e di certo non per una carenza del personale docente?

Al contrario di un lavoro svolto in aula da un insegnante che, ogni giorno, parla ai ragazzi, spiega e analizza con loro il mondo – antico e contemporaneo –, invitandoli al pensiero critico, alla lettura attiva di ciò che li circonda, la mossa di Valditara è una dichiarazione di intenti precisa, passiva, che non genera dibattito o riflessione. Piuttosto, il Ministro si schiera senza nessuna ragion d’essere in un momento già critico per la lettura (e rilettura) della storia più recente che negli ultimi anni non sta facilitando la costruzione di una società fondata su principi e valori sani, egualitari e libertari. Una mossa decisamente politica che strumentalizza i ragazzi e la giornata simbolo, nella ricerca più di un consenso di tipo elettorale che di reale interesse della formazione degli adulti di domani.

Ci piace pensare che la scuola possa costituire il terreno fertile in cui far fiorire i primi germogli di consapevolezza, cittadina, civica e politica. Tuttavia, non possiamo esimerci dal desiderare che questo succeda quando ai più giovani sono stati forniti tutti gli strumenti per sviluppare il proprio pensiero, la propria capacità di discernimento tra cosa e giusto e cosa è sbagliato per loro, per la loro idea di mondo. Altrimenti, la scuola diventa indottrinamento, diventa passività, diventa occasione di mortificazione della democrazia. E questo, soprattutto nella Giornata della Libertà, non possiamo accettarlo.

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