Settimana corta e dad: la scuola risparmia, le famiglie ci rimettono

settimana corta e dadC’è un’idea folle, pericolosa eppure persino probabile che serpeggia in questi giorni nel dibattito pubblico. È l’ipotesi che quest’anno, a scuola, si possa andare cinque giorni a settimana. Nulla di strano, penserete a una prima lettura e, invece, è un messaggio grave da lanciare che delinea, ancora, l’idea distorta di Paese che non smettiamo di (de)costruire.

La proposta è nata in Veneto, in seguito a una riflessione che saremo presto chiamati a fare per fronteggiare l’emergenza legata al caro bollette. I costi per l’approvvigionamento dell’energia elettrica e del gas che stanno già pesando sui bilanci delle famiglie italiane, infatti, sono destinati ad aumentare e così, da qualche pulpito, si vocifera che anche la scuola debba fare la sua parte con l’istituzione della settimana corta.

Il primo a parlarne in merito agli istituti superiori è stato David Michele, vicepresidente della provincia di Verona con delega a Istruzione e Edilizia scolastica, nel tentativo di ammortizzare spese che rischiano di essere insostenibili. Se, lo scorso anno, a Verona il costo energia per le scuole è stato di 4.8 milioni (erano 3.5 nel 2020/2021), questa volta le stime parlano di un +60%, vale a dire quasi 8 milioni. Fondi che, siamo certi, non sarà facile reperire in un sistema che già lamenta carenze sotto ogni punto di vista.

Non basta, tuttavia, questa cifra esorbitante per prendere come buona l’idea di Michele, alla quale ne ha fatto subito seguito un’altra: un giorno di didattica a distanza a settimana. Non un buon presagire nell’anno che tutti chiamano della normalità. Al momento, per fortuna, fonti governative smentiscono razionamenti o misure drastiche di altro tipo, in particolare se legate alla scuola. Tuttavia, al netto dei pareri contrari, più di qualcuno si è detto favorevole a simili ipotesi o, ancora, alla riduzione delle lezioni da 60 a 50 minuti.

Parliamo, ad esempio, di Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi (ANP), che ha preso in considerazione l’idea, pur precisando che vada contestualizzata, ma lasciando perplessi quei tanti che la scuola la vivono ogni giorno e che rischiano, così, di vedere vanificati i sacrifici in aula e triplicati quelli a casa.

Innanzitutto, quando si parla di caro bollette non possiamo ignorare il fatto che docenti e studenti siano vittime degli aumenti al pari del sistema d’istruzione pubblico italiano. Ciò significa che tutti, in qualità di cittadini, subiamo gli effetti di una crisi che non sembra vedere fine e che, messa in questi termini, rischia di gravare ancora di più sulle tasche del personale scolastico e delle famiglie.

Laddove si optasse per la dad, infatti, si richiederebbe ai soggetti coinvolti di sopperire alle difficoltà economiche delle scuole a proprie spese. Dalla linea internet all’elettricità, pensare di scaricare i costi sui docenti, che a loro volta pagheranno le bollette maggiorate, o sulle famiglie già sul lastrico sembra, infatti, l’ennesima beffa ai danni di chi quotidianamente dà tanto per ricevere poco in termini di stipendi, diritti a lavoro e istruzione, nonché gratificazione personale e professionale.

C’è, poi, da analizzare tutta una serie di fattori in termini organizzativi. Per cominciare, più del 50% delle scuole italiane adotta già la settimana corta, quindi si tratta di andare a vedere a quanto ammonterebbe questo fantomatico risparmio e se, come temono alcuni, questo non comporti anche la rimodulazione dell’orario scolastico a lezioni iniziate o in procinto di farlo. Praticamente un suicidio in quanto a continuità didattica e lavoro di dirigenti, segreterie e famiglie costretti a rivedere l’organizzazione di un intero anno. La direttiva, infatti, resterebbe un’indicazione generica, in quanto ogni scuola decide autonomamente i propri orari.

C’è, inoltre, il nodo del trasporto pubblico. Qualora si pensasse alla settimana corta, bisognerebbe infatti prevedere una riorganizzazione dei mezzi affinché all’uscita da scuola i ragazzi non abbiano problemi nel rientro a casa. L’importante – precisa il presidente Giannelli – è non diminuire le ore di lezione: «Io non voglio sentire parlare di riduzione di orario perché pregiudicheremmo il diritto allo studio, cosa che i nostri ragazzi hanno già sofferto». Appunto.

C’è da dire che tutte le ipotesi avanzate vanno in contrasto sia con le richieste di molti partiti di aumentare il tempo scuola (in particolare al Sud) sia con le ultime decisioni ministeriali che non lasciano spazio alla dad, nemmeno in caso di alunni positivi al Covid.

Giannelli ha aggiunto poi: «Se c’è un’emergenza nazionale, il governo e il Parlamento potrebbero imporre una soluzione temporanea a tutte le scuole ma non si deve pregiudicare il diritto allo studio né deve essere lasciata alla decisione della singola scuola. Anche l’autonomia ha i suoi limiti». Il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, infatti, non vuole che si possano creare delle disuguaglianze lasciando ampia discrezionalità agli istituti che rischierebbero, così, di decidere ciascuno per sé e, quindi, di non garantire pari condizioni e diritti alla popolazione scolastica.

Su questo punto, però, sembrano d’accordo più parti, anche nello stesso Veneto che ha aperto la discussione: «Si deve intervenire a livello governativo su questa problematica che obiettivamente c’è e riguarderà tutti gli enti locali» dicono in molti. E non possiamo non condividere. Ciò che non condividiamo, tuttavia, è l’affermazione secondo cui «di fronte a questa nuova crisi anche la scuola deve fare la sua parte».

Da sempre, la scuola fa la sua parte e negli ultimi due anni, in particolare, lo ha dimostrato al netto di tutte le incompetenze e incongruenze che nei palazzi che contano si sono susseguite, confermando il disinteresse per il diritto allo studio, al lavoro, alla socialità, a una vita normale che tante rinunce ha già richiesto e richiederà, ancora, se non saremo in grado di rispondere non all’emergenza del momento, ma a una situazione di stallo ben più ampia che rischia soltanto di peggiorare.

La soluzione a un sistema economico fallimentare e in via di fallimento non è certo la dad, non è certo l’ennesimo taglio del tempo scuola o l’ennesimo sacrificio di ragazzi e famiglie. «I nostri ragazzi – come ben dice Angela Nava, presidente nazionale del Coordinamento Genitori Democratici – non possono pagare in nome di una settimana corta i prezzi di un tempo scuola e di apprendimento ridotti dopo due anni di “esperimenti” sulla pelle dei minori. Giù le mani dalla scuola, sono altri i settori su cui tagliare. I genitori faranno sentire forte la loro voce oppositiva a qualsiasi manovra di tagli sulla scuola italiana».

I genitori faranno sentire la loro voce e si spera non saranno i soli: perché se già i presidi vacillano, se la politica se ne disinteressa totalmente, se in tempi di crisi e guerre il primo pensiero è a un ridimensionamento dell’apprendimento e della socialità tutta, allora davvero non c’è speranza. Allora, davvero, oltre le tasche, anche le nostre menti e coscienze saranno sempre più vuote.

La scuola, come la sanità, come il pane in tavola ogni giorno, è un bene essenziale, primario, imprescindibile. È una questione di civiltà, di diritto, di democrazia. E ora, più di ieri, ce n’è davvero bisogno.

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