Scuola media: gli anni peggiori, anche per l’apprendimento

scuola mediaRicordiamo tutti, spesso con non poco piacere, gli anni tra le scuole elementari e le superiori. Anni di crescita, di cambiamenti fisici e caratteriali. Le prime cotte, i primi peletti, la voce che muta insieme all’umore. Sono gli anni dell’adolescenza, il passaggio dall’infanzia alla giovane età. Gli anni delle medie.

Da sempre considerata da molti come un incubo, la scuola media è stata istituita nel 1962 e, da allora, costantemente messa in discussione. Da Berlinguer a Moratti, passando per Salvini, molti ministri ne hanno proposto l’abolizione. Oggi, il dibattito – mai sopito – torna in auge. Il suo stato di salute, in effetti, continua a non essere buono. I docenti sono sempre meno giovani, i disagi tra i banchi aumentano, l’apprendimento perde di efficacia, addirittura peggiora.

A fotografare la situazione è il nuovo Rapporto della Fondazione Agnelli che racconta di studenti che imparano meno dei loro coetanei europei e degli altri paesi avanzati, nonché di disuguaglianze sociali e divari territoriali che si accentuano rispetto alla scuola primaria. Queste tendenze erano già evidenti dieci anni fa, tuttavia – proprio per l’assenza di cambiamenti – oggi preoccupano ancora di più. Allo stesso tempo, suggeriscono proposte per aiutare la scuola media a diventare un percorso di orientamento al futuro, con contenuti e didattica aggiornati.

«Il problema della scuola media è diventato strutturale», ha dichiarato l’economista, presidente della Fondazione, Andrea Gavosto. «La nostra idea non è di abolirla, ma di sollecitare un confronto per migliorarla. […] Nei prossimi mesi, se la pandemia darà tregua sarà necessario riportare la secondaria di primo grado al centro dell’attenzione pubblica per farle ritrovare una missione che garantisca efficacia ed equità: consentire a tutti gli studenti di acquisire apprendimenti di qualità, fare crescere la loro capacità di studiare in autonomia, orientare a scelte più consapevoli degli studi successivi».

Ciò che emerge dal Rapporto, infatti, mostra numerose carenze. Innanzitutto, prendendo in considerazione i dati OCSE-Pisa sulla matematica, i risultati – mettendo a confronto i punteggi ottenuti nel 2019 in quarta elementare e, poi, in terza media – registrano un calo di competenze. Se nel primo caso, il punteggio è pari a 515, al di sopra della statistica europea, il secondo scende a 497 (18 punti in meno), relegando il Paese ben al di sotto della media OCSE. Nello specifico, a peggiorare sono i risultati degli studenti del Sud e delle isole e coloro i cui genitori hanno la sola licenza elementare o media.

«Le disuguaglianze dovute all’origine socio-culturale, misurate in base al titolo di studio dei genitori» spiega Barbara Romano, curatrice dello studio, «sono ben visibili già alla scuola primaria, con una differenza in media di 26 punti tra uno studente figlio di laureati e uno studente i cui genitori hanno la licenza elementare. Ma poi deflagrano alla scuola media, arrivando fino a 46 punti, che equivalgono, alla fine del ciclo, a una differenza di quasi tre anni di scuola».

A contribuire, ovviamente, è anche lo stato d’animo con cui i ragazzi vivono il triennio: 4 su 10 lamentano il carico di lavoro che dalle elementari si fa notevole; a poco meno del 30% delle alunne e del 25% degli alunni undicenni la scuola media non piace molto, tra i tredicenni piace a meno del 10%.  Anche l’orientamento alle superiori – che secondo il Rapporto funziona poco e male – aumenta lo stress nei ragazzi: 1 su 4 non sa cosa fare dopo l’esame, il 44% degli studenti non segue il consiglio orientativo, aumentando il doppio di possibilità di bocciatura al primo anno delle superiori.

Anche tra i docenti, la situazione non migliora: tra trasferimenti e richieste di mobilità, la scuola media fatica a garantire continuità didattica. 1 insegnante su 3 si trasferisce o viene trasferito, il 66% del corpo docente viene confermato da un anno all’altro. Alla primaria (88%) e alle superiori (75%), il personale resta pressoché invariato. Il tasso di precariato tra i docenti delle medie, inoltre, non aiuta: il 30% ha un contratto a tempo determinato. Nell’anno 2020-2021, ad esempio, sono stati 202mila i docenti della secondaria di I grado, il 13% in più del 2011. Eppure, l’incremento è stato dovuto interamente alla crescita dei precari (60mila, +30%). Quasi invariato, infatti, è rimasto il numero dei docenti di ruolo. Più drammatico, invece, il dato del sostegno: quasi il 60% è precario. 1 docente di ruolo su 6, infine, è over 60. La media è di 52 anni.

Al divario anagrafico, forse, si possono ascrivere le difficoltà che i professori manifestano nell’insegnamento: 8 su 10, infatti, dichiarano di sentirsi preparati, mentre 4 su 10 dichiarano di esserlo nelle competenze didattiche e nella metodologia, come se faticassero a comprendere il modo giusto di impartire il sapere.

«I docenti che entreranno alle medie devono avere una formazione superiore all’attuale sistema dei 24 crediti nella metodologia didattica», ha aggiunto Gavosto. «Dobbiamo ispirarci al modello parallelo diffuso nel Nord d’Europa. Contemporaneamente bisognerebbe lavorare su approfondimento disciplinare, ma anche sulla competenza didattica e la pratica in aula, cosa che da noi non avviene».

Sulla falsariga, anche il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha ammesso che la scuola media, la più delicata, «è profondamente frammentata, finalizzata e gerarchizzata». Pertanto, le va dedicata grandissima attenzione. Sulla scuola secondaria di primo grado «è tempo di fare una riflessione che coinvolga non solo gli addetti ai lavori», ha dichiarato. È giunto «il momento di un grande dibattito nazionale sulla scuola, sulla didattica e sulle modalità didattiche. Un dibattito aperto a tutte le voci». Bianchi ha aggiunto, poi, che «autonomia e sistema nazionale sono i due perni su cui ci dobbiamo muovere, avendo chiaro che occorrono strumenti di valutazione» a cui riservare «il loro effettivo scopo». Per il Ministro, infatti, i dati – in particolare quelli delle prove Invalsi – vanno presi con molta attenzione, avendo presente a cosa servano e qual è il contesto in cui sono stati raccolti. I dati, insomma, vanno accolti come spia di un malessere che va poi valutato in altro modo.

Il direttore della Fondazione Agnelli ha avanzato alcune proposte: estendere il tempo scuola, con i ragazzi in aula anche al pomeriggio per fare sport, laboratori, musica, teatro come materie curriculari; innovare la didattica, introdurre materie opzionali; curare di più la formazione dei docenti, con una laurea magistrale dedicata e una forte selezione anche su come insegnano e non solo sulle discipline. Vedremo, adesso, quali saranno le prossime mosse della politica.

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