Scuola: il DPCM non ferma il concorso (e nemmeno le polemiche)

dpcmIl DPCM non ferma il concorso straordinario. A nulla sono valse le polemiche delle settimane precedenti, tantomeno la spaccatura interna alla maggioranza di governo, divisa tra chi ne chiedeva il rinvio e chi, come il Ministro Azzolina, insisteva affinché la tabella di marcia fosse rispettata. L’iter, che come da calendario ha avuto il via lo scorso 22 ottobre, si concluderà regolarmente a novembre.

All’appuntamento di giovedì erano attesi 1645 candidati, tuttavia i presenti alla prima prova sono stati soltanto 1450, vale a dire l’88.6% degli aspiranti, suddivisi in gruppi da 10 per un totale di 171 aule sull’intero territorio nazionale. Il concorso, finalizzato all’immissione in ruolo di 32mila precari su 64mila istanze inviate, è organizzato in più giorni e su base regionale. Inoltre, prevede l’aggregazione territoriale e, in caso di situazione epidemiologica critica, lo svolgimento in altra regione rispetto a quella di domanda. Vien da sé che gli spostamenti attesi sono tanti e non necessari in un momento delicato come quello che stiamo vivendo.

Da giorni, la curva dei contagi, in Italia, ha ormai sfondato quota 20mila. Ciononostante non sono bastati i consequenziali tre DPCM nel giro di appena due settimane – e, ancor prima, l’ampia prevedibilità di una simile impennata – per ridiscutere i termini del concorso, dando quindi udienza ai tanti che ne imploravano il posticipo a giusta ragione.

In particolare, gli aspiranti, capitanati dalle principali sigle sindacali, chiedevano di riformulare il calendario affinché la selezione si potesse svolgere in altra occasione, dunque in maggiore sicurezza, evitando trasferte potenzialmente pericolose e un viavai decisamente evitabile. In alternativa, chiedevano la possibilità di predisporre di prove suppletive in caso di assenza giustificata, vale a dire in caso di positività al COVID o di candidati sottoposti a regime di quarantena o diversa limitazione imposta su ordinanza o decreto.

Al momento, infatti, per costoro non è prevista alcuna seduta aggiuntiva, con il rischio che per molti aspiranti il lungo periodo di preparazione al concorso e di lavoro precario non sarà valso a nulla, esclusi da un’opportunità che, invece, spetta loro in modo legittimo e inequivocabile. Ma può una pandemia negare un diritto? A quanto pare sì.

Dal Ministero ripetono a loop che, anche per questa procedura, valgono le regole proprie delle selezioni pubbliche al fine di evitare un prolungamento sine die dei tempi concorsuali e la violazione del principio di equità alla base dei test, con gli assenti che, in caso contrario, potrebbero usufruire di un lasso temporale maggiore per prepararsi. Un discorso che, se comprensibile in altri contesti, rischia di venir meno nell’attuale fase di incertezza socio-sanitaria che l’Italia sta attraversando.

I timori di chi è chiamato alle prove non sono capricci, bensì preoccupazioni più che legittime di chi teme per la propria incolumità e per quella degli altri, costretto a scegliere – quando possibile – tra rischiare il contagio oppure perdere un’occasione attesa a lungo. Eppure, i motivi alla base delle possibili defezioni sono a tutela della salute personale e pubblica, quelle che da mesi ci ripetono essere la priorità, ma che al MIUR, e al governo tutto – che nel DPCM non ha previsto lo stop del concorso –, non sono parse ragioni poi tanto rilevanti. La domanda sorge spontanea: perché, ancora una volta, si è scelto lo scontro, ignorando le voci di chi vive la realtà nazionale nelle sue inefficienze, anziché nelle confortevoli stanze dei palazzi istituzionali? Perché, in un Paese che adotta misure sempre più restrittive, non si è pensato di rimandare prove concorsuali affatto urgenti?

D’altra parte, le immissioni in ruolo non si avranno comunque prima del prossimo anno. Se il servizio verrà retrodatato al 1 settembre 2020, infatti, i vincitori saranno reclutati soltanto a partire dall’a.s. 2021/2022. Perché tanta fretta? Il tempo per rinviare c’era eccome. Il tempo per capire pure. Soprattutto adesso, che la situazione rischia di essere fuori controllo e tanti, troppi sacrifici sono ancora da richiedere, a discapito persino della tenuta sociale. La sensazione è che la conferma del concorso non sia altro che uno scudo a difesa di un fallimento, cosmico, che è la scuola. Anche stavolta.

Abbiamo in più occasioni invitato le istituzioni all’ascolto, a una pausa dedicata a chi le aule le vive ogni giorno, consapevole del suo fondamentale eppure costantemente sminuito ruolo. E, invece, nemmeno la pandemia ha fermato la politica, nemmeno la pandemia è servita a riscrivere le priorità di un Paese che vede nell’abbandono scolastico una delle sue più allarmanti piaghe. Ecco che, allora, a nemmeno un mese dalla prima campanella, le scuole inevitabilmente chiudono, le superiori tornano in DAD almeno al 75%, gli insegnanti si ammalano, gli studenti pure. A tutti, docenti e alunni, vengono negati diritti: al lavoro, allo studio, alla salute. E così sarà ancora a lungo, quantomeno nell’anno scolastico in corso già ampiamente compromesso, nonostante la fiducia – di facciata – di chi è chiamato a garantirne il regolare svolgimento, seppur incapace di portare il peso di un Ministero forse troppo grande per le sue spalle. Un peso che, però, non ammetterebbe mai.

Il rinvio del concorso straordinario sarebbe stata un’ottima occasione per aprire un dialogo mai veramente aperto. E, invece, ancora una volta si è scelto di proseguire dritti per la propria strada. Il timore è che alla fine di questa strada ci sia un muro grosso, difficilmente sormontabile.

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