STEM: anche per Valditara sei solo se produci

superiori stemNel mese delle STEM, l’iniziativa sostenuta dal Ministero dell’Istruzione e del Merito al fine di promuovere le discipline scientifiche e tecnologiche nelle scuole italiane, il Ministro Giuseppe Valditara torna sul tema per rilanciare l’obiettivo, ormai comune ai precedenti governi, di maggiore investimento nel settore.

Per il titolare del dicastero, infatti, «le materie STEM sono importanti perché sempre più lavori richiederanno queste competenze e potranno favorire l’ascensore sociale, fermo dagli anni Settanta». Immaginare un cambiamento della didattica favorendone la personalizzazione è, a suo dire, la strada da perseguire. «Questo significa porre lo studente al centro» continua il Ministro, indicando anche le modalità con cui vorrebbe raggiungere lo scopo: «Il docente tutor dovrà svolgere proprio questo ruolo. Importante anche l’orientamento, con un docente orientatore, per tirar fuori i talenti dei ragazzi e mettere loro davanti le potenzialità lavorative».

Come abbiamo appreso in questi giorni, quelle a cui Valditara fa riferimento sono le due nuove figure professionali introdotte nel mondo della scuola dal prossimo settembre che andranno – si legge sul sito del Ministero – una a sviluppare la personalizzazione dell’istruzione nelle scuole secondarie di secondo grado e l’altra a concretizzare l’attività di orientamento. A tal proposito, sono stati stanziati circa 150 milioni di euro da affiancare ai 600 già previsti dal PNRR ai quali un’attenzione particolare è richiesta proprio alle discipline di natura scientifica e tecnologica.

L’investimento, a detta del Ministro, servirà a recuperare anche i gap che penalizzano in particolare le studentesse e le regioni del Sud, come ribadito in occasione dell’8 marzo scorso quando Valditara ha sottolineato l’opportunità, anche professionale, che tali materie possono offrire, contribuendo a sradicare ogni stereotipo di genere.

È in quest’ambito che rientra il bando relativo al concorso scolastico nazionale STEM: femminile plurale che consiste nella realizzazione di un progetto a scelta tra due aree tematiche, Entra nel gioco e Essere o non essere, attraverso il quale gli istituti partecipanti saranno chiamati a evidenziare l’importanza di applicarsi nel campo delle discipline STEM per poter esercitare autonomamente una cittadinanza attiva, in grado di affrontare positivamente le sfide della transizione ecologica e della transizione digitale a cui bisogna prepararsi e su cui bisogna incidere.

Il Ministro ne ha parlato, in effetti, anche di recente rispondendo dapprima alle critiche che costantemente – e a giusta ragione – si rivolgono alle attività di PCTO, del quale ha sottolineato l’importanza, e poi agli avversari politici, sostenendo che «anche questo ci differenzia nettamente dalla sinistra che è ideologica e astratta e vorrebbe che si studiasse tutti materie culturali, lasciando a chissà quando la formazione professionalizzante così avremo ancora più disoccupati». Un’esternazione del tutto inappropriata.

Partiamo dall’inizio: l’alternanza scuola-lavoro o PCTO che dir si voglia nasce da un’idea, poco brillante, dell’ex Premier Matteo Renzi, all’epoca in forza PD, principale partito di centrosinistra, con l’obiettivo di rimediare alla totale assenza di connessione tra il mondo dell’istruzione e quello dell’impiego. Già nella sua definizione si sottolinea, dunque, che non è affatto vero che una certa area del Parlamento ha maggior interesse a investire in saperi umanistici anziché scientifici e cosiddetti professionalizzanti (i dati parlano chiaro), e che una buona scuola – da qui il nome della tanto contestata riforma di cui l’ASL costituisce il nucleo centrale – per dirsi tale non può non passare per un determinato concetto di lavoro.

D’altro canto, è lo stesso che si riscontra nel quotidiano di questo Paese ancora profondamente legato al “titolo”, incurante del proprio portato storico e culturale, nonché due volte classista: solo alcuni mestieri sono degni di essere definiti tali; se fai cultura, sei un perdigiorno. Come tanti prima e insieme a lui, infatti, anche il Ministro Valditara si piega alle logiche del mercato, ignorando non solo l’indotto che il mondo della cultura rappresenta per le casse dello Stato, ma anche l’enorme potenziale che proprio l’Italia ha e dovrebbe rappresentare in un ambito meno scientifico e più umanistico, stante al patrimonio artistico, culturale e intellettuale che le appartiene tutt’oggi.

Smettere di investire in questo tipo di formazione o facendolo riducendo le risorse all’osso per incanalare tutti gli sforzi soltanto in alcuni settori e materie rischia di concretizzarsi nell’omologazione del pensiero e del sapere, un sapere unico a cui – e qui il Ministro dovrebbe necessariamente approfondire qual è il disegno di questa gestione della cosa pubblica – il Paese non è comunque in grado di rispondere perché sprovvisto degli strumenti basilari per trasformare quelle competenze in occupazione.

Non ci sono abbastanza aziende, in Italia, infrastrutture, scuole e università capaci di accogliere le mozioni avanzate da Valditara e dai suoi predecessori. Non ci sono abbastanza spazi per tutti, ma potrebbero essercene se si investisse in modo serio in una formazione più completa, settoriale sì ma non unica, capace di intercettare tutte le sensibilità, i possibili progetti di vita, se non si lanciasse il solito pericoloso messaggio: se produci sei perché consumi; se non produci non sei perché non puoi consumare. È un messaggio capitalista e snob, pericoloso da inculare in menti giovani che dovranno divenire la classe dirigente di domani.

Un messaggio che conferma l’idea della scuola come azienda tanto cara alla politica degli anni più recenti, che sta trasformando gli istituti in diplomifici a discapito della fatica, della passione e delle competenze di un corpo docente che il più delle volte ce la mette tutta per poi essere smentito alla prova dei fatti, quando il problema non è più la dispersione scolastica ma la disoccupazione. Eppure, i dati degli ultimi giorni raccontano di un’università quale La Sapienza tra le eccellenze al mondo in studi classici, perché non investire in questo?

Certo, la crisi patita dal mondo artistico e culturale non è unicamente conseguenza del mondo che oggi cambia valori ed esigenze, quanto di una mediocre e radicata mentalità che ognuno – nei suoi gesti e nelle sue parole – incoraggia da sempre. Non è, infatti, una novità che scrittori, musicisti, pittori, attori – per citare alcune delle figure più bistrattate – facciano i conti con precarietà e sfruttamento, che si vedano negare l’origine del proprio prodotto, risultato di ore, mesi, anni di studio e lavoro.

L’idea dell’artista come di un sognatore, dell’uomo di cultura come di uno scansafatiche, un giocherellone dalle improbabili velleità, non solo non aiuta quanti di quei sogni provano a fare il loro quotidiano, ma offre l’assist alle istituzioni affinché il mondo della cultura sia l’ultimo a cui garantire risorse, con tutte le inevitabili ripercussioni sull’importanza attribuita a tali settori anche per ciò che riguarda compensi e condizioni lavorative. E quando la cultura non è nelle priorità di un Paese, quella comunità è destinata al qualunquismo, all’omologazione, quindi all’oblio della ragione.

Non a caso, nel nostro Paese, circa la metà dei lavoratori impiegati nel settore artistico-culturale svolge, per poter vivere, un’attività parallela. Ed è su questo che il Ministro e quanti come lui dovrebbero interrogarsi. Altrimenti nemmeno il docente tutor e orientatore potranno molto. Dov’è la personalizzazione se tutti devono fare le stesse cose? Dov’è la scuola che non esclude? La scuola che vuole tirar fuori i talenti dei ragazzi e mettere loro davanti le potenzialità lavorative? Il mondo non si cambia da solo. Si cambia se qualcuno è disposto a farlo.

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