A scuola in abito bianco: la foto che racconta il precariato

precariatoLe immagini di Carmela Santoro, la docente costretta a firmare il contratto nel giorno del suo matrimonio, in abito da sposa, le abbiamo viste tutti. E tutti abbiamo espresso sentimenti diversi: dalla tenerezza alla rabbia, dall’esaltazione del senso del dovere all’accusa di aver scelto di convolare a nozze a settembre, consapevole di dover iniziare un nuovo anno scolastico. Il web, si sa, ha sempre risposte a tutto e a tutto un giudizio che non conosce repliche. Ebbene, mettendo per un attimo da parte le emozioni, guardando senza coinvolgimento alcuno quelle foto, anche noi che ci occupiamo di scuola sentiamo il dovere di dire la nostra e può sintetizzarsi così: non c’è romanticismo nel precariato.

A raccontare la storia della nuova insegnante dell’IISS Majorana di Martina Franca, in provincia di Taranto, è stato lo stesso istituto: Ne abbiamo viste tante nella scuola, ma una così mai. Una nuova collega, almeno per quest’anno, doveva firmare l’assegnazione dell’incarico annuale per la disciplina di Matematica, aveva un impegno molto importante ma ha trovato il modo di venire comunque a scuola. Auguri Carmela, sei già entrata nei nostri cuori, recita il post pubblicato sui canali ufficiali dell’istituto pugliese. Un’occasione persa – il post, ma anche i tanti articoli usciti a commento della notizia – per puntare i riflettori su un tema delicato che condanna la scuola, e il Paese tutto, all’esaltazione di un’instabilità lavorativa che andrebbe combattuta anziché celebrata.

Il lavoro precario e il lavoro precario nella scuola, in Italia, sono una piaga atavica. Atavica come il disinteresse della politica ad affrontare e risolvere la questione. Quella di Carmela, infatti, non è la favola dell’abnegazione che vogliono raccontarci, ma il ritratto drammatico di una situazione che molti sono costretti a vivere ogni giorno da anni. Questo non fa differenza. E non può farne finché il sistema sarà gestito da un algoritmo che sta arrecando più danni che benefici – la denuncia arriva, in queste ore, da molti docenti in attesa di collocazione, da graduatorie zeppe di errori, da elenchi tutti da rifare a pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico. Non può farne finche la notifica di convocazione equivale a una pubblicazione sul sito, non a una mail, una chiamata diretta, un documento inviato in via ufficiale, magari dal lunedì al venerdì, anziché – come spesso accade – nei fine settimana, ventiquattro ore prima, a volte anche meno.

Non può farne se si è costretti ad accettare o rifiutare l’incarico nel giro di pochissimo tempo, senza possibilità di riflettere più attentamente su quello che è il proprio futuro, addirittura l’indomani mattina. Poco importa della vita personale di ognuno, degli impegni familiari, della salute mentale del docente che attende di saperne di più. L’importante è, come ha fatto il Ministro Bianchi nei giorni scorsi, raccontare che va tutto bene, che la scuola funziona. Che, finalmente, sta cambiando o, addirittura, è già cambiata. Ma è così o si tratta della solita ricostruzione di una realtà ben diversa da quella quotidiana? Basta – per parafrasare l’inquilino di Viale Trastevere – cancellare le parole dai giornali per dire che il precariato non c’è più? Se non è questo, il precariato, cos’è?

Come lo chiama, il Ministro, questo stallo che ogni giorno si è costretti a vivere in attesa di una convocazione? Come la chiama la smania di controllare i siti di riferimento in modo ossessivo sperando di non perdersi alcuna notizia? Come la chiama la corsa a scuola di una docente costretta a firmare – parole sue – per non perdere il lavoro nel giorno delle sue nozze? Non è precariato questo? Non è un equilibrio anch’esso precario? Non è negazione del diritto? Perché a noi non pare altro che questo.

E, allora, dinanzi alle immagini di Carmela Santoro, bellissima nel suo abito bianco, non possiamo commuoverci: dobbiamo adirarci. Adirarci con chi avalla questo sistema assurdo, privo di tutela, incapace di dare stabilità ai lavoratori e, di conseguenza, agli studenti, vittime come i loro insegnanti di una scuola che continua a non funzionare. Una scuola sempre più azienda e meno comunità, sempre più business e meno istruzione. Una scuola dove una sposa non ha altra scelta che posticipare il suo ingresso in chiesa pur di tenersi stretta l’opportunità di un lavoro. Precario, certo, ma pur sempre una necessità in questi tempi bui, privi di certezze.

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