Scuola: tra riapertura, tamponi e quarantena, restano i dubbi

riaperturaScuole aperte anche in zona rossa: è questa la novità delle ultime ore annunciata dal Premier Mario Draghi in conferenza stampa. La riapertura riguarderà tutti gli istituti dall’infanzia alla prima classe della secondaria di primo grado. Invariate, invece, le chiusure per le classi successive che continueranno le lezioni a distanza.

L’allentamento – ha precisato il Presidente del Consiglio – è possibile grazie ad alcuni segnali incoraggianti arrivati dalla cabina di regia, che hanno mostrato un leggero miglioramento della situazione, ma anche per le evidenze scientifiche che mostrano come la scuola primaria non sia di per sé una fonte di contagio. «Lo sono invece tutte le attività para e peri-scolastiche», ovvero trasporti e attività sportive. Per questo, ha detto, è opportuno mantenere in vigore tutte le altre restrizioni.

L’annuncio è arrivato dopo giorni di polemiche, immancabili ormai dall’inizio di questo lungo anno pandemico, caratterizzato più da botta e risposta tra le parti anziché dalla concreta volontà di trovare un cammino comune. È successo con il precedente governo e la gestione di azzoliniana memoria, rischia di succedere anche adesso. La svolta, in particolare, segue le proteste dello scorso venerdì quando in più di sessanta città italiane si è tenuto uno sciopero che ha riguardato il mondo della scuola, dai docenti agli studenti che si sono rifiutati di recarsi in aula, fisica o virtuale che fosse, ritrovandosi in piazza per chiedere il proprio diritto a una didattica in presenza, in sicurezza e in continuità di tutti gli istituti scolastici, dal nido all’università, non oltre il 7 aprile. Ora, potrebbero essere accontentati.

«Il Ministro dell’Istruzione Bianchi – ha spiegato Draghi – sta lavorando affinché la riapertura avvenga in modo ordinato e in alcuni casi sarà possibile effettuare alcuni test». Nessuna «azione estensiva e globale», però: il Premier ha smentito che il rientro in aula sarà condizionato all’effettuazione di test di massa settimanali sull’intera popolazione studentesca. La notizia, circolata nelle ore precedenti, è stata rettificata anche da Agostino Miozzo, consigliere di Bianchi ed ex coordinatore del CTS: «Non mi è mai passata per l’anticamera del cervello l’idea di far fare otto milioni di test tutti i lunedì mattina perché è surreale e improbabile».

«Il “piano Miozzo” è una bellissima invenzione, io ho semplicemente raccontato al Ministro Bianchi l’esperimento della Provincia Autonoma di Bolzano che prevede esattamente questa cosa qua. Gli inglesi su raccomandazione di una rivista scientifica, che è Lancet, danno delle indicazioni di questo tipo, detto ciò si deve poi declinare sulla capacità che abbiamo di poter fare queste cose, il che non può essere il tampone tutti i lunedì. Il cosiddetto “piano Miozzo” significa semplicemente studiare delle ipotesi, l’obiettivo è quello che ha rappresentato il Presidente Draghi, cioè cercare di riaprire. Poi se si può riaprire campionando in zone particolarmente a rischio, questo va studiato», ha dichiarato il consigliere del Ministro, preoccupando quei tanti che avevano sperato nel monitoraggio costante per sentirsi più sicuri.

Eppure, che l’ipotesi tamponi settimanali fosse soltanto tale era facilmente prevedibile. Sin dall’inizio della pandemia, in fondo, il nostro Paese, e di conseguenza il sistema scolastico, è stato del tutto incapace di offrire un sistema di screening e tracciamento che potesse effettivamente prevenire e aiutare la definizione di scuola come luogo sicuro senza se e senza ma. Non sorprende, dunque, che a un anno di distanza – ma praticamente due in termini didattici – ancora si fatichi a proporre un piano capace, nei fatti, di offrire una panoramica costante di quella che è la situazione nelle aule. Non rassicura, inoltre, nemmeno quanto presidi e sindacati stanno denunciando sin da oggi, alle prese con la richiesta degli organici e la formazione delle classi per il prossimo anno: nella circolare del Ministero, infatti, si continua a parlare di aule con almeno 27 alunni. L’emergenza COVID, dunque, non sembra fermare le classi pollaio. Le classi pollaio, invece, potrebbero continuare a fermare la scuola.

Qualche novità, intanto, si legge nel  documento dell’ISS del 13 marzo con le indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da Sars-Cov-2 in tema di varianti e vaccinazioni che spiega che non vi sono evidenze scientifiche che dimostrino la necessità di un incremento della distanza di sicurezza a seguito della comparsa delle nuove varianti virali; tuttavia, si ritiene che un metro rimanga la distanza minima da adottare e che sarebbe opportuno aumentare il distanziamento fisico fino a due metri.

In caso di un alunno positivo, inoltre, la quarantena scatta per tutti i compagni di classe che hanno frequentato la scuola nei giorni precedenti all’insorgenza dei sintomi e non più 48 ore prima. Lo stesso vale per gli insegnanti che sono contagiati. Fino a oggi, come sappiamo, in caso di positività di un docente la classe non è andata in isolamento, da adesso invece sono considerati contatti stretti gli studenti delle classi in cui l’insegnante ha svolto lezione nelle 48 ore antecedenti l’insorgenza dei sintomi o, se asintomatico, nelle 48 ore precedenti il tampone. Una questione che diventa problematica laddove il docente copre più classi di un istituto.

Come se non bastasse, nelle scuole dove il 30% delle classi è coinvolto da almeno un caso di COVID, l’ASL valuta anche la sospensione delle attività in presenza per l’intero plesso scolastico, la quarantena di tutti i soggetti che frequentano la scuola (ossia di tutti i bambini studenti, compresi quelli delle classi non interessate da casi) e l’effettuazione di uno screening completo mediante tampone. Per ciò che riguarda la quarantena, poi, per i contatti di caso sospetto o confermato con infezione sostenuti da variante, essa non può essere interrotta al decimo giorno. Al quattordicesimo giorno, infine, deve essere effettuato un test molecolare.

In vista della probabile riapertura, comunque, continua la campagna vaccinale dedicata a docenti e personale ATA, non priva tuttavia di forti disparità tra le varie regioni. Come si legge nei dati aggiornati al 26 marzo, ai dipendenti della scuola sono state somministrate 902.226 dosi su un totale di 1.095.343 addetti all’intero comparto. La media, in particolare nell’ultima settimana, è di circa 30mila vaccinazioni al giorno, ma la situazione non è uguale ovunque: a parte le province autonome di Bolzano e Trento di cui non si conoscono i dati specifici, la regione più virtuosa è oggi l’Abruzzo, che vanta 25.721 dosi concluse su 26.114 persone, seguito dall’Umbria (17.511 su 18.238). Si attestano in alto anche Molise (5932 iniezioni su 6396) e Friuli Venezia Giulia (19.209 su 21210). Non male, poi, la situazione del Lazio, tra le regioni più popolose, che ha vaccinato 100.791 addetti alla scuola su 101.960. Seguono la Puglia (90.298 su 96.745), la Basilicata (5260 vaccini su 13.049 dipendenti), la Toscana (58.921 persone, ne restano 11.697), l’Emilia Romagna (64.997 dosi su 76.455), il Veneto (71.840 vaccini su 81.337). Molte meno le dosi nelle Marche (13.547) e in Liguria (ferma a 8157 dosi su 23.979 dipendenti).

Il Piemonte si piazza a metà classifica: ha vaccinato 60.108 insegnanti, bidelli e amministrativi su un totale di 78.444. In fondo alla classifica, invece, c’è la Calabria ferma a 9859 vaccini: in lista ci sono ancora 33.794 persone. A farle compagnia, la Sicilia dove 67.087 sono i vaccini fatti mentre ad attendere il proprio turno ci sono ancora 41.101 utenti, la Sardegna (10.017 vaccinati su 51.217 persone del settore) e la Lombardia che ha vaccinato 128.235 persone del mondo della scuola e ne ha ancora in lista 30.665.

Resta, infine, il dato della Campania: al 26 marzo, sul sito del Ministero della Salute risultano vaccinate 127.300 persone, ma secondo i dati dell’Unità di Crisi Regionale il personale scolastico immunizzato è pari a 129.230 dipendenti.

Il lavoro da svolgere, insomma, resta tanto e in troppe aree del Paese. E se riaprire è – e deve essere – la priorità, non si può pensare di farlo senza quella sicurezza che, a distanza di un anno, pare quasi svuotata di significato. Come fosse una frase fatta. Ma di fatto, per la scuola c’è ancora troppo poco.

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